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Diario di Bordo

Dracunculiasi…. Che nome!!! di Martina Barsotti

11/02/2015, Martina Barsotti



                       I poster della sala d'aspetto dell'ambulatorio di Kuoini danno il benvenuto ai pazienti in fila per ricevere la visita o i farmaci di cui hanno necessità ed allo stesso momento cercano di catturare l’attenzione su quello che fu un grande problema per l’Africa sub-sahariana.

No, non si tratta di malaria! Per questa parassitosi avrei purtroppo dovuto utilizzare il verbo al presente. Parlo invece del Verme di Guinea, scientificamente meglio conosciuto come Dracunculus medinensis , un endoparassita responsabile della malattia – dracunculiasi -  in Africa S-S., America Meridionale, Medio Oriente, India e Pakistan. 

Il suo spaventoso nome deriva dal latino “piccolo drago”, dracunculus, e la sua fama è nota fin dalla Bibbia, dove si parla di serpenti di fuoco che non davano tregua agli ebrei durante l’esodo nel deserto.  Più tardi durante il I-II sec d.C. Plutarco e Agatarchide scrivono di alcuni ammalati ai quali “sortivano di dosso dei serpentelli che mangiavano loro il grasso delle gambe o i muscoli del braccio. E quando si cercava di toccarli rientravano dentro e si raggomitolavano nei muscoli provocando dei bozzi e delle posteme (pustole) dolorosissime”. Intorno all’anno 1000, Avicenna, medico, filosofo, fisico e matematico persiano, nei suoi “Canoni della Medicina” descrive di un piccolo gonfiore nel corpo localizzato il più delle volte alle gambe,  che si trasforma in una pustola da cui fuoriesce qualcosa di colore rosso-nerastro che si muove sotto la pelle come fosse un animale, anche se altri lo considerano un grosso nervo corrotto. Egli ipotizzava che tale verme originasse dalle acque. Nella metà del 1600 Georg Hieronymus Welsch nel suo “Exercitatio de Vena Medinensis” riporta informazioni circa il dracunculo, descrivendo l’evoluzione della malattia: da una pustola fino alla formazione di una vescica all’interno della quale si poteva osservare il movimento del verme. Nota inoltre che la malattia si manifesta solo nelle popolazioni di alcune regioni e che la trasmissione appare strettamente correlata con l’ingestione di “aquae insalubris”.Alla fine del 1800 e durante i primi anni del secolo scorso è stato individuato il ciclo vitale del dracunculo (Alekseij Pavlovic Fedcenko prima, sir Patrick Manson e Dyneshvar Atmaran Turkhud, poi).

Fino ad arrivare ai nostri giorni quando questo parassita non desta più solo l’interesse degli scienziati: lo scrittore statunitense Hunter S. Thompson nel suo romanzo Meglio del Sesso scrive del verme di Guinea: "penetra nel corpo umano con un sorso d'acqua, dopodiché cresce al suo interno fino a raggiungere una lunghezza di novanta centimetri, a quel punto è tanto grande e robusto da poter perforare la pelle dall'interno, mostrandosi per quello che è: un orribile verme rosso con la testa come un cobra, che si dimena nel tentativo di respirare."  

Ebbene sì, il verme di Guinea esiste davvero!  

Il suo nome scientifico è Dracunculus medinensis ed è un nematode (verme rotondo), viene anche detto verme di Guinea o serpente di fuoco a causa del forte dolore che provoca quando fuoriesce dall'organismo.

Il verme di Guinea è endemico in Africa Sub-Sahariana (più precisamente nel Sahel), in America Meridionale, in Medio Oriente, India e Pakistan; l’infezione avviene bevendo l’acqua infettata dalle larve che raggiunto l’intestino vengono assorbite dall’organismo e una volta divenute adulte migrano verso il tessuto sottocutaneo (generalmente a livello del dorso del piede). Dopo circa un anno la femmina produce una sostanza tossica che provoca la formazione di una bolla che poi si rompe provocando bruciore e dolore e costringendo l’ammalato a immergere l’arto in acqua per trarre un minimo di beneficio. A questo punto il verme produce e rilascia nell’acqua un liquido contenente migliaia di larve e se l’acqua viene bevuta da un’altra persona, il ciclo sarà mantenuto! 

Grazie alle campagne di prevenzione sulla salubrità delle acque (sistemi di filtrazione) e grazie alla costruzione di pozzi profondi dove non sia possibile immergersi, si è raggiunto un abbattimento dell’infezione maggiore del 99.5%. Tuttavia, la battaglia per l’eradicazione della patologia è ancora in corso, soprattutto in quei Paesi aridi dove c’è poca disponibilità di acqua potabile (Burkina Faso).

 

Per maggiori informazioni: martina.barsotti@gmail.com